Paura, panico, sentirsi in trappola: gli effetti psicologici del lockdown
I mesi che abbiamo vissuto sono stati una situazione senza precedenti nella nostra storia e hanno avuto sulle persone, a livello psicologico, una evoluzione e ripercussioni con cui ci troveremo a fare i conti per molto tempo.
La paura è stata un sentimento che ha pervaso molti di noi: paura di infettarsi, paura di infettare, paura per i figli o per i genitori anziani, paura per la propria situazione economica e lavorativa.
La continua esposizione mediatica a “bollettini di guerra”, con l’utilizzo di immagini e terminologie proprie dell’ambito bellico e notizie preoccupanti relative agli ospedali sovraffollati e all’incapacità del sistema sanitario di far fronte al carico di malati, ha alimentato ed accresciuto in molti un vero e proprio stato di ansia.
Lo scenario percepito ha prodotto anche reazioni come l’accaparramento di scorte alimentari, che si erano verificate, dopo la Seconda Guerra Mondiale, in occasione di eventi come Chernobyl o la Guerra del Golfo. La paura di restare senza cibo e non poter far fronte alle primarie necessità, si è trasformata in panico.
L’introduzione di misure rigidissime, con lo scopo di prevenire la diffusione del virus, come il completo isolamento sociale, oltre a suggerire una gravità eccezionale della situazione e quindi ulteriore preoccupazione, ha generato in molti la sensazione di sentirsi in trappola e di perdere il controllo della propria vita.
A questo si sono aggiunte la ricerca continua di informazioni, a volte confuse e senza fondamento scientifico, sui social media, e l’assenza di contatto “reale” con il mondo esterno, per cui per molti l’esperienza della pandemia si è svolta in maniera “virtuale” attraverso i media: circostanze che hanno contribuito a creare in alcuni un senso di alienazione.
La recrudescenza della discriminazione
Un ulteriore aspetto da considerare è l’effetto discriminatorio che ha acuito sentimenti di rabbia, senso di impotenza e acredine verso il prossimo, alimentato dal panico generato dalla paura della malattia e fonte di ulteriore stress.
Nella prima fase dell’emergenza, infatti, sono stati rilevati da più parti atteggiamenti di aperta accusa verso alcune categorie, ritenute dall’immaginario popolare possibili “untori” (come ad esempio i runners). Con la riapertura degli spostamenti tra Regioni, abbiamo assistito, soprattutto sui social, alla discriminazione nei confronti delle persone che vengono dalle zone più colpite (come la Lombardia, il Piemonte, il Veneto), considerate possibili forieri del contagio.
L’OMS e il Ministero della Salute inoltre sottolineano inoltre che ci si possa attendere una sorta di stigma sociale nei confronti di coloro che sono stati oggetto di isolamento o che hanno contratto la malattia e ne sono guariti.
In qualunque contesto di crisi pandemica, i temi della paura, dell’incertezza e della stigmatizzazione sono comuni e possono tradursi in pericolose barriere all’accesso alle cure mediche e psicologiche.
Persone vulnerabili: non solo gli anziani
Possiamo individuare diverse categorie di persone che possono essere vulnerabili sotto il profilo psicologico in questo contesto, e possono avere bisogno di sostegno.
Le persone anziane certamente sono maggiormente vulnerabili dal punto di vita fisico e tra loro i disturbi mentali sono più frequenti, con una prevalenza di quelli di natura depressiva.
Tuttavia, la letteratura medico scientifica, elaborata su dati di situazioni analoghe in passato, ha individuato alcune caratteristiche che sembrano aver favorito un effetto psicologico negativo: ad esempio la giovane età (tra i 16 e 24 anni), un basso livello di istruzione, non avere figli o l’avere un figlio solo (al contrario avere 3 o più figli sembra avere un effetto protettivo).
Anche coloro che soffrono di patologie acute o croniche diverse dal Covid19, ma che a causa della paura di infettarsi rinunciano ad accedere a strutture sanitarie per sottoporsi a visite mediche, esami e terapie, sono persone potenzialmente vulnerabili.
Infine, l’avere sofferto nella propria storia clinica di disturbi psichiatrici può essere associato a manifestazioni ansiose che possono comparire anche alcuni mesi dopo la fine della quarantena.
Gli “strascichi psicologici” dopo la fine del lockdown
L’ansia e la paura possono permanere e manifestarsi anche dopo la fine del lockdown: con disturbi lievi, come disturbi del sonno, fino agli attacchi di panico o all’aggravarsi di patologie psichiche preesistenti.
Il rischio di sindrome da stress post-traumatico è concreto ed è stato studiato a lungo in letteratura scientifica anche come conseguenza di un trauma di massa, ad esempio in seguito agli attacchi terroristici dell’11 settembre a NY o a Parigi nel 2015.
Per contrastare la paura e l’ansia e i disturbi che ne derivano, possono essere molto utili tecniche di meditazione, mindfulness e supporto psicologico.
Il supporto psicologico è particolarmente importante e raccomandato per le persone quarantenate e quelle maggiormente vulnerabili.
Se senti di avere bisogno di una consulenza psicologica, la nostra Dott.ssa Gaia Simoncini è a tua disposizione. Chiama il 022481146
Fonti:
Coronavirus: The psychological effects of quarantining a city – James Rubin et al. – The BMJ Opinion – January 2020
Timely mental health care for the 2019 novel coronavirus outbreak is urgently needed – Yu-TaoXiang et al. – Lancet Psychiatry – March 2020
Recommended psychological crisis intervention response to the 2019 novel coronavirus pneumonia outbreak in China: a model of West China Hospital Jun Zhang et al. – Precision Clinical Medicine – March 2020
Mental health in emergency response: lesson from Ebola – Abdulaziz Mohammed et al. – Lancet Psychiatry – November 2015
Factors associated with PTSD and partial PTSD among first responders following the Paris terror attacks in November 2015 – Motreff Y et all. – J Psychiatr Res. – February 2020
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